Retrocomputing spiegato bene

Lo sguardo perso in una foto a cercare di coglierne i dettagli, di decifrare le scritte, di intuire le funzioni nascoste dietro ogni icona. Quasi una visione iperdimensionale in cui ogni blocco di pixel è il punto di ingresso di un nuovo mondo. Soggetto di questa immagine l’HP 200LX, uno strano ibrido degli anni ’90 a metà strada tra un laptop ed un organizer tecnicamente definito Palmtop PC.

Un processore Intel 80186 da 7.91 MHz, 640 kB di RAM e fino a 4 MB di memoria per far girare un DOS di Microsoft e sopra questo un ambiente grafico monocromatico con calendario, agenda, rubrica, calcolatrice e persino il leggendario Lotus 1-2-3. Il tutto alimentato da due comuni batterie AA.

Negli ordini di grandezza tutta la poesia di una informatica frugale: i processori con frequenze decimali sulla scala dei MHz, la RAM ancora in kB, una memoria dati che oggi non conterrebbe neppure una foto, due batterie da supermercato tanto economiche quanto universali. Eppure tanto bastava.

E mentre osservavo ammirato questo oggetto comparso sulla mia timeline fantasticando sui suoi molteplici utilizzi, d’improvviso realizzo di trovarmi di fronte al mio smartphone; di avere tra le mani un dispositivo che, tastiera QWERTY a parte, quelle funzioni le ha tutte assieme a mille altre e la cui potenza di calcolo è svariati ordini di grandezza superiore (pur essendo il mio uno smartphone molto modesto); e che nonostante ciò non sembra altrettanto significativo.

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Immagine: HP 200LX – CC-BY-SA Tamie49 / Wikipedia